L'emigrazione italiana agricola in Argentina Quando
l'Argentina nel 1853 divenne una repubblica federale iniziò un
progetto statale di colonizzazione agricola e in questo periodo si possono
collocare i primi tentativi di immigrati italiani di acquisire lotti
fondiari dalle province o direttamente dallo stato argentino. All'inizio
si trattò di piccoli gruppi di persone ma tra il 1860 e il 1878
l'accquisizione di nuove porzioni della pampa e soprattutto dei territori
del sud dell'Argentina diede una notevole spinta della politica fondiaria
governativa.
L'homestead nordamericano
Nel 1882 il governo imitando la politica degli homesteads
del governo statunitense decise di concedere gratuitamente venticinque
ettari di terreno a piccoli nuclei familiari. Le amministrazioni
provinciali fecero proprie migliorandole le iniziative del governo
e così si scatenò una vera e propria corsa da parte
dei coloni per accaparrarsi le terre in concessione più vicine
alle coste a scapito di quelle più interne meno civilizzate.
Le regioni argentine
Le leggi provinciali, da Corrientes a Entre Rios, da Santa Fe a Buenos Aires,
attirarono emigranti dediti all'agricoltura allettandoli con sempre più favorevoli
opportunità. Nelle vicinanze della capitale un provvedimento del 1870
assegnava a giovani coppie di agricoltori terreni a condizione che li coltivassero
e vi costruissero sopra una casa. Nelle zone di Corrientes fino dal 1853 erano
società private di colonizzazione che si occupavano della coltivazione
dei territori subafittando a famiglie coloniche.
Le spese di viaggio anticipate
Anche nelle province di Cordoba e di Entre Rios si diffuse verso il 1865 il sistema
applicato dal 1853 a Corrientes e le società private provvedevano ad anticipare
agli emigranti le spese di viaggio e quelle necessarie per impiantarsi nel lotto
assegnato. Questo sistema però non diede i risultati sperati in quanto
nei territori così vasti c'era il predominio dei gauchos dediti alla pastorizia
e all'allevamento di bestiame, attività spesso finanziate da capitale
inglese e quindi in netto contrasto con la politica agricola del paese che cercava
di convertire in agricole le zone a pascolo.
La Comision de Inmigracion
Il governo argentino ben conscio del fatto che la produzione agricola del paese
era insufficiente al fabbisogno nazionale tanto da dover importare cereali pagandoli
col ricavato della vendita delle carni cercò in tutti i modi di aumentare
la produzione agricola favorendo l'immigrazione agricola nel paese e a tale scopo
nacque dapprima la Commissione dell'Immigrazione ed in seguito verso la metà degli
anni Cinquanta la Società per la Protezione dell'Immigrazione. Lo scopo
di quest'ultima era il controllo che sul territorio argentino non nascessero
colonie di una sola nazionalità, controllo che all'inizio ostacolò il
programma di sviluppo agricolo e che comunque non venne sempre rispettato a livello
provinciale.
Gli italiani a Santa Fe
La provincia "pilota" di Santa Fe vide nascere con successo numerose colonie
popolate per la maggioranza da emigrati italiani. Il successo delle colonie fu
garantito dalle favorevoli condizioni climatiche e dal dinamismo legislativo
dei responsabili della provincia. Il progetto coloniale di questa regione fu
visto con diffidenza non giustificata in Italia, ciononostante ebbe un notevole
successo e un costante sviluppo a differenza di analoghi tentativi in altre zone
dell'Argentina tanto che l'area santafesina della repubblica platense, a fine
secolo, divenne la zona cerealicola più produttiva della nazione e quella
più popolata da emigranti italiani.
Le colonie italiane
Le terre migliori e più fertili erano state acquisite da emigrati svizzeri
e tedeschi ma, a partire dal 1856, con la fondazione della colonia italiana di
Esperanza in un periodo di tempo di trent'anni nacquero circa altre cento colonie
agricole che raggruppavano quasi ottantamila coloni provenienti per la maggior
parte dal Piemonte e dalla Lombardia dai nomi inconfutabilmente "italiani". Esperanza
nel 1856, Emilia nel 1868, Cavour nel 1869, Nuova Italia nel 1872, Vercelli nel
1873, Torino nel 1876 sono alcune tra le colonie agricole italiane nate con molto
successo in quel periodo
Piemontesi e Lombardi
Le autorità argentine ed anche osservatori di altre nazionalità interessati
ai problemi agricoli dell'Argentina espressero giudizi decisamente positivi sui
lavoratori agricoli provenienti dalla Lombardia e dal Piemonte, ma in generale
anche per gli altri italiani provenienti dalle regioni del Nord in quanto li
giudicavano instancabili al lavoro, dotati di eccellenti costumi e, con particolare
riferimento ai piemontesi, di una sobrietà proverbiale.
La legge dell'immigrazione e della colonizzazione
La legge varata nel 1876 in Argentina sull'immigrazione e la colonizzazione riuscì a
vincere quasi totalmente il clima di diffidenza che c'era in Italia. La legge
prevedeva che i territori nazionali venissero divisi in lotti di quarantamila
ettari con l'idea di potervi insediare col tempo degli insediamenti urbani e
suburbani e inoltre offriva la possibilità di assegnazioni di terreno
gratuite o a cifre decisamente basse pagabili ratealmente con i soli obblighi
della messa a coltivazione e della residenza per gli acquirenti che avrebbero
dovuto essere preferibilmente dei contadini.
Società e compagnie private
Il governo argentino anticipava agli agricoltori immigrati le spese di viaggio
dal porto di sbarco ai luoghi di destinazione e forniva il denaro necessario
per scorte, viveri, sementi ed attrezzi. Un trattamento di favore fu adottato
anche a ditte individuali e a società di capitale che si impegnavano a
far affluire sui terreni a loro concessi entro due anni nuclei di almeno centoquaranta
famiglie da collocare su lotti di circa cinquanta ettari.
Le grandi compagnie di colonizzazione
La maggior parte dell'emigrazione italiana per la scarsità di
risorse economiche si diresse prevalentemente verso i territori provinciali
come quelli della zona di Santa Fe senza poter sfruttare al meglio
l'offerta dei lotti nazionali della legge del 1876. Nello stesso
tempo i piccoli proprietari e gli affittuari subirono sempre maggiormente
lo strapotere economico dei grandi latifondisti e delle grandi compagnie
private di colonizzazione. Per fortuna, sempre nella zona di Santa
Fe, gli emigrati italiani riuscirono a costruirsi alcune piccole
fortune individuali e a mantenere una piccola proprietà contadina
anche dove l'azione delle grandi compagnie era predominante.
I proprietari italiani
Secondo il censimento del 1895 su un totale di 407.503 proprietari agricoli più di
un quarto erano di nazionalità straniera e fra essi 62.975, quindi più della
metà, erano italiani. Bisogna però precisare che la percentuale
dei contadini italiani divenuti proprietari era inferiore a quella dei tedeschi
e degli svizzeri che potevano contare su maggiori risorse economiche fin dal
loro insediamento.
La crescita fra il 1877 e il 1890
La notevole espansione della cerealicoltura e degli allevamenti di ovini e di
bovini che si ebbe negli anni 1877 - 1890 nei territori tolti agli indigeni e
accaparrati dai latifondisti nelle province di Buenos Aires, La Pampa e Santa
Fe fu dovuta largamente all'apporto e all'impegno profuso dai coloni italiani.
La regia comunque di questo notevole progresso era nelle mani dei grandi possidenti
edelle società colonizzatrici.
Il sistema commerciale e creditizio
Il mercante di campagna, l'almancero, esercitava nella pampa funzioni commerciali
e creditizie per proprio conto ma più spesso per conto dei grandi proprietari.
Gli agricoltori immigrati dovevano per forza rivolgersi a lui trovando poi notevoli
difficoltà per riuscire a diventare proprietari dei fondi agricoli. Tutto
ciò non avvenne nella zona di Santa Fe e in altre zone per la massiccia
presenza di emigrati italiani. Nella zona di Cordoba nel 1905 gli italiani rappresentavano
con 4568 unità l'ottanta per cento dei proprietari della provincia in
funzione dell'elevatissimo numero di emigrati e di colonie agricole notevolmente
fertili che potevano ospitarli.
Il dipartimento di Cordoba
Nel dipartimento di Cordoba a partire dal 1890 l'arrivo massiccio
di agricoltori piemontesi aveva spezzato il monopolio di una mezza dozzina
di latifondisti del paese tanto che all'inizio del nuovo secolo le colonie
gestite dagli italiani in economia, in affitto o a mezzadria erano circa
duemilacinquecento su un totale di tremila.
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Tra il 1910 e il 1914 gli immigrati europei in Argentina sono circa il 30% della popolazione e in alcune città come Buenos Aires la popolazione europea raggiunge la metà della popolazione totale. Ciò è dovuto in parte al vuoto demografico dell'Argentina scarsamente popolata da indigeni - i quali, eccetto che nel nord del paese, furono in gran parte spazzati via - e trascurata dalla colonizzazione spagnola, dal momento che non disponeva di grandi miniere d'argento e d'oro come la Bolivia o il Messico. I principali gruppi migratori europei furono il gruppo italiano e quello spagnolo, i quali scelsero l'Argentina non a caso, ma grazie a quelli che gli storici chiamano meccanismi micro-sociali, vale a dire le informazioni che i potenziali emigranti ricevano da quelli che si trovano già sul posto, aiuti finanziari e così via. Si tratta sempre di un movimento ciclico: ci sono, infatti, immigranti che si trasferiscono con l'intera famiglia, ma soprattutto immigranti singoli che poi tornano nel loro paese d'origine, e 'immigranti rondine'.
Ci sono immigranti che scelsero di andare in un'area urbana e si inserirono come lavoratori qualificati nell'edilizia, o come professionisti (farmacisti, medici, etc), e immigranti che andarono verso le aree rurali, come affittuari e diedero vita all'agricoltura dell'Argentina considerata agli inizi del Novecento il 'granaio del mondo'.
Fernando Devoto affronta il tema del tapporto tra la professione di partenza e la professione svolta in Argentina: alcuni immigranti, come ad esempio i Genovesi, conservarono la loro professionalità, il che vuol dire la loro struttura familiare; altri che andarono solo per risparmiare accettarono qualsisi tipo di lavoro, e altri cercarono gli spazi che si potevano aprire di volta in volta nel mercato del lavoro ed erano molto mobili: il lavoro è comunque sempre determinato dalla volontà di continuare una tradizione professionale e dalla possibilità che le reti sociali offrono.